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Alle elementari e alle medie vietati i cellulari. Lo psichiatra: «Risposta giusta all'emergenza»

La circolare del ministro Valditara non permette di portare smartphone a lezione perché «fonte di distrazione»

Tanto per cominciare, Steve Jobs a casa sua aveva vietato la tecnologia. Tanto per ricordarlo, in luglio il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha firmato una circolare che bandisce da oggi, primo giorno del nuovo anno scolastico, l’uso dello smartphone alla scuola dell’infanzia, alle elementari e alle medie, anche per le attività didattiche. «C’è una correlazione diretta fra l’uso del cellulare in classe e il livello di apprendimento degli alunni», è scritto nel documento governativo, «in 14 Paesi è stato riscontrato che la semplice vicinanza a un dispositivo mobile distrae gli studenti provocando un impatto negativo sul loro rendimento. È fonte di distrazione, fa diminuire l’attenzione, in particolare durante le lezioni di matematica, mettendo a rischio le competenze nelle materia».

In più, lo confermano studi scientifici, in generale l’iperconnessione «nell’infanzia e nella preadolescenza incide negativamente sullo sviluppo cognitivo determinando perdita di concentrazione e di memoria, diminuzione della capacità dialettica, di spirito critico e di adattabilità». La punta dell’iceberg (o il fondo più profondo del problema) è rappresentata «dall’aumento preoccupante anche in Italia», cita la circolare, «di minori affetti dalla sindrome dell’Hikikomori cioè del fenomeno dell’isolamento sociale volontario che comporta il ritiro nel chiuso delle proprie case rinunciando ai rapporti con il mondo esterno».

 

L’allarme a Verona

 

È vero. Anche a Verona i casi più gravi di «dipendenza» da tecnologia trattati all’Ospedale Santa Giuliana, centro di riferimento regionale per il disturbo psicologico e psichico in adolescenza, sono proprio quelli citati nella circolare dei giovani che decidono, come dice il termine giapponese, di «stare in disparte, di ritirarsi e isolarsi». Vivono h24 nelle loro stanze, perennemente collegati alla rete, non escono nemmeno per i pasti, non parlano con nessuno se non in chat. Non vanno più a scuola. Letteralmente, spariscono. Sulle Torricelle, il 20-30 per cento dei minori ricoverati ha forme gravi di «ritiro sociale, dipendenza da social, isolamento dagli altri, anche dai familiari. Su 15 ricoverati, 3 sono in questa condizione», conferma il direttore sanitario Giuseppe Battaglia, psichiatra. Che plaude alla decisione del ministro Valditara di intervenire a regolare, vietandola, la presenza degli smartphone sui banchi della scuola dell’obbligo. «Almeno lì, è importante avviare la svolta, questa decisione è la risposta giusta all’emergenza», commenta.

E lo sottoscrive, che i «bambini e i ragazzi fanno un uso terribile, malsano, dei cellulari. L’emergenza è sociale e tocca tutti. Più che di una legge che vieta l’uso di questi strumenti tecnologici prima dei 14 anni (articolo a lato), proposta su cui ho delle perplessità, io preferisco decisamente la linea del Ministero dell’Istruzione: si va a scuola con quaderni, libri e penne. Si scrive a mano, non si digita sulla tastiera».

 

L’analisi dello psichiatra

 

Ecco perchè Battaglia pensa che la petizione al Governo lanciata dai colleghi per far fronte ad una situazione ormai fuori controllo, «non sia la strada più giusta. È vero, bisogna regolare, una norma serve, ma non è con i divieti, con una legge ad hoc e con i toni clamorosi che si affermano i principi educativi». E spiega: «Affidare allo Stato i compiuti della buona genitorialità, sposta solo più in là il problema». E racconta come, nel suo ospedale, quella dell’iperconnessione sia una condizione che si risolve: «Appena li ricoveriamo, a tutti è vietato l’uso del cellulare. Anche per i più ossessivi, nel giro di 48 ore quello non è più “il“ problema: inseriti nel gruppo, quando trovano un sistema coerente, si adattano alla nuova condizione. Significa che si può arrivare al distacco, se c’è altro in cui questi ragazzi possono trovare la loro forma».

Battaglia non ha dubbi: «Normare l’uso esasperato della tecnologia e dei social è giusto, è doveroso, ma vietarla del tutto fino a 14 anni significa entrare nell’intimo delle famiglie e delle persone, mettendosi nella posizione sbagliata. Temo che la “messa a terra“ della norma sarebbe molto complicata e», conclude, «come è successo per il canone Rai, si troverebbero subito le scorciatoie». Purtroppo.

 

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pubblicata il 11/09/2024

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